The Bear: la cucina in tv come non l'avete mai vista
Dimenticate Vivaldi e la sigla di Chef's Table, scendete negli inferi, più sotto ancora dell'inferno di Gordon Ramsay, e non vi voltate, perché è arrivata The Bear: la serie tv che racconta la cucina in una chiave inedita e scioccante.
Voglio iniziare con un'ovvietà: impossibile guardare The Bear e non pensare ad Anthony Bourdain e lo dico perché se oggi siamo pronti per questa serie televisiva forse è proprio perché lui ci ha raccontato un certo tipo di cucina.
Ho guardato gli otto episodi nel giro di due serate, sono brevi e creano una frenetica dipendenza, impossibile staccare. Li trovate su Disney+ e vi consiglio di goderveli in lingua originale.
La trama
The Bear è l'orso che popola mostruosamente i sogni di Carmen Berzatto, chef di Chicago dalle lontane origini italiane con un curriculum da capogiro e la nomina a miglior chef da Food e Wine.
Il fratello Michael muore lasciandogli in eredità il suo ristorante: una tavola calda in un quartiere malfamato, sporca, triste, sciatta e praticamente in bancarotta.
Sommerso dai debiti di Michael, Carmen deve tentare di far sopravvivere questo posto e magari migliorarlo, ma si scontra con un personale svogliato e radicato in una serie di malsane abitudini lavorative. Insomma, nulla a che vedere con la fine dining.
Sì Chef!
Ci sono alcune parole che risuonano in tutte le puntate, la prima: Chef. Carmen arriva da un'esperienza lavorativa profondamente devastante, vessato dal suo ex superiore a tal punto da soffrire d'ansia e attacchi di panico.
Nella sua cucina vuole ordine, pulizia e disciplina: elementi fondamentali per chi vi lavora.
Quando ho cominciato il mio corso di cucina ricordo che la prima lezione fu prevalentemente un elenco di regole: "Grembiuli puliti, unghie corte, niente smalto, postazione in ordine e pulita, coltelli rivolti verso il basso" e così per altri milioni di punti.
Chef è come Carmen chiama i membri della sua brigata, dando a ciascuno lo stesso valore e pretendendo in cambio una professionalità che si raggiunge solo attraverso il rispetto reciproco.
Il suo atteggiamento deriva molto probabilmente dal desiderio di non far sentire chi lavora per lui come lui si è sentito in tutti gli anni di servizio nell'alta cucina. Tuttavia non perdere il controllo nei momenti in cui lo stress raggiunge l'apice è molto complicato.
Famiglia
Avete mai visto una brigata da vicino?
La seconda parola più pronunciata della serie (parolacce escluse) è famiglia. In un ristorante la brigata mangia prima del servizio, anche alle 11:30 se ha il turno per il pranzo, purché ci siano tutti. Qualcuno cucina per il gruppo, ci si raduna intorno a un tavolo e non importa quanto sia il tempo a disposizione, perché è un momento "per la famiglia".
La brigata della The Original Beef of Chicagoland ha un suo "sistema" di lavoro, un metodo tossico ormai radicato. Tuttavia sotto la scorza ruvida di questo team di stronzi, c'è un insieme di persone che hanno semplicemente bisogno di crederci un po' di più.
La cucina, il cibo
La cucina è tutto. Sentirete l'olio che sfrigola, le verdure che si separano sotto la lama del coltello, il sale che si appoggia alla carne, il burro che si scioglie.
Ho letto che gli attori hanno dovuto imparare a cucinare veramente, come dei semiprofessionisti e che una consulente ha mostrato loro l'aspetto più fisico della cucina, che è un luogo estremamente violento se ci pensate, dove convivono il fuoco e le lame dei coltelli, dove si va di fretta tutto il tempo, dove lo stress può raggiungere apici inimmaginabili, dove, talvolta, le gerarchie creano rapporti malsani e allarmanti.
Se The Bear fosse una ricetta, sarebbe pasta sfoglia
Ogni membro della brigata ha la propria storia e le storie si appoggiano l'una sull'altra, come gli strati di una sfoglia, fondendosi in un ambiente che deconcentra costantemente lo spettatore dalle storie, disturbandolo con i movimenti concitati della cucina.
Ci sono tali apici di stress che ti inducono a metterti le mani in faccia e pensare: "Io non ce la farei, mollerei, morirei, fuggirei".
Le tematiche sono drammatiche: non ci sono soldi, Carmen non può pagare i fornitori, ma non solo: lavora come un pazzo e di notte non riesce a dormire perché ha una sofferenza dentro che non riesce a trovare sfogo.
Poi ci sono le storie degli altri. C'è Richie, che è un uomo devastato e che da grande amico di Michael quale è stato difende il locale dalle nuove regole, perché non intende vederlo cambiare. C'è Sydney, l'ambiziosa Sou Chef, con i suoi sogni e la dannata voglia di dimostrare di cosa è capace. Lei è una chef talentuosa, anche se un po' impaziente, ma non riesce a trovare i mezzi per esprimersi e deve accontentarsi di lavoretti in squallide bettole come il The Original Beef of Chicagoland.
Il libro di cucina
La cucina di una tavola calda non sembra un luogo che concede di sognare. Marcus fa il pane, ma senza ambizione, né stimoli. Basta l'arrivo di Carmen e un suo piccolo consiglio o il supporto di Syd, che lo invita a sperimentare, a dargli il coraggio di osare di più.
C'è poi il libro del Noma, il ristorante al quale Carmen s'ispira. Noma - Time and Place in Nordic Cousine, con le sue pagine immacolate e le ricette perfette su sfondo asettico, impaginate come fossero opere d'arte, vaga per la cucina imbrattandosi e finendo per terra. Sembra totalmente fuori posto, eppure chi lo guarda rimane ispirato, perché è la prova che la cucina non è solo un lavoro con cui pagare l'affitto, da fare male e svogliatamente. La cucina è arte.
Il senso di tutto
The Bear non è una serie di denuncia, non a mio parere. Descrive il mondo della cucina in modo essenziale e crudo, ma non per creare scalpore. L'ho guardato cercando una retorica o tentando di scorgervi una morale, ma non ci sono. È solo una storia. Come racconta della squallida cucina di una tavola calda, si dedica anche, seppur in maniera frammentata, all'immacolato universo delle cucine professionali, quelle dei ristoranti stellati, dove ciascun piatto viene rifinito con cura maniacale. Esistono entrambi i mondi e deve essere così. Fanno schifo e sono affascinanti entrambi, per ragioni totalmente diverse.
Allo stesso tempo è un assaggio di quanto il mondo della cucina possa essere psicologicamente violento, stressante e traumatico.
Il cibo perde quella sacralità con cui l'abbiamo visto attraverso lo schermo negli ultimi anni, per lasciare più spazio alla verità. Nonostante questo, rimane un potente mezzo d'espressione, capace di rabbonire lo spirito, unirci alle persone care anche dopo la morte e, quasi sicuramente, salvarci.