Il punto di vista dell'illustratore: intervista a Felicita Sala
Prosegue il filone delle interviste. Con la rubrica Letture ai fornelli ho iniziato raccontandovi i miei libri di cucina preferiti, ma da oggi esploro volentieri il dietro le quinte dell'editoria culinaria attraverso il punto di vista di tutti gli elementi chiave del percorso di un libro, dall'autore fino al libraio. Oggi vi propongo una conversazione con Felicita Sala: il nostro punto di vista dell'illustratore.
Arte e cibo: intreccio indissolubile
L'arte rappresenta il cibo da sempre, pensate a Caravaggio e alla sua Canestra di frutta, al movimento futurista che tenta di abolire la pasta perché ne rende il consumatore lento e fiacco o all'immaginario tutto panna e zucchero filato di Will Cotton. In quanto motore essenziale, il nutrimento è un impulso vitale che l'arte non può trascurare e questo lo rende un soggetto infinitamente interpretato, rivisto e raccontanto.
Anche l'editoria culinaria ha la sua fetta di progetti illustrati. Fra i miei preferiti non potrei non citare Sale grassi acidi calore di Samin Nosrat, pubblicato da Guido Tommasi Editore nel 2019, mentre su Netflix spopolava l'omonima serie. Le illustrazioni di Wendy MacNaughton hanno un ruolo così essenziale nel testo che la Clarkson Potter/Publishing ha creato un cofanetto da 20 illustrazioni immaginate per essere incorniciate. Penso poi alle illustrazioni di Patricia Curtain nel manuale di Alice Waters l'Arte del cibo semplice, che celebrano anni di collaborazione nei quali la Curtain ha illustrato i menu di Chez Panisse.
Libri, riviste, social
Dal suo recente restyling, Cook: il mensile del Corriere della Sera dedicato al cibo che ha le sembianze di un quotidiano, lascia grande spazio all'illustrazione, ospitando ogni mese artisti illustri, ma anche emergenti influenti, che ne interpretano la copertina e che ne arricchiscono le pagine con grande estro. Insomma, l'incastro continua a essere perfetto e trova strade infinite d'espressione dove il cibo s'infila nell'arte e viceversa.
Per questo ho deciso di intervistare un'artista che fra le prime ha inziato a illustrare il cibo nel senso più attuale del termine. Con le sue "ricette illustrate" Felicita Sala è stata decisamente pioniera del suo tempo.
Il punto di vista dell'illustratore: intervista a Felicita Sala
Premio Andersen 2020 come illustratore dell'anno in Italia, Felicita Sala è una talentuosa illustratrice autodidatta. Nel 2018 il New York Times ha inserito il suo libro She Made a Monster tra i migliori dieci dell'anno, mentre Una festa in Via dei Giardini è stato tradotto in oltre 10 lingue. Si tratta anche di uno dei libri ai quali sono più affezionata, perché mi tiene felicemente ancorata alla mia "anima bambina". È proprio da quest'opera incredibile, quindi, che cominciano le mie domande.
Foto di Sophie Davidson
Nel libro Una festa in via dei giardini le ricette raccontano la cucina di tanti luoghi diversi del mondo, come le hai scovate? Sono loro ad aver dato carattere ai personaggi o, viceversa, sono i personaggi ad averle ispirate?
È stato un processo lungo e complesso. Cercavo ricette che provenissero da varie parti del mondo, partendo dal mercato francese in cui è nato il libro. Mi sono ispirata a Parigi, città multietnica, ho costruito un condominio immaginario con un grande giardino, e mi sono chiesta: Chi abita qui? E qui? Un po’ i personaggi mi portavano alla ricerca delle ricette.
Per esempio, la signora Flores, volevo fosse una bella donna cubana, e ho cercato tra le ricette di quel paese, trovando quella perfetta sia di gusto che da disegnare, la zuppa di fagioli neri. Invece per altre ho voluto mettere ricette che fanno già parte della nostra casa: il riso verde greco, preferito di mia figlia da piccola, e poi il baba ganoush, il salmorejo, mio piatto preferito quando abitavo a Cordoba. Molte ricette sono classici di vari paesi, io non ho inventato niente, le ho solo testate e aggiustato le proporzioni secondo i miei gusti.
In Un anno a Fleurville torni al numero 10 di via dei giardini, ma questa volta all’esterno, fra orti, terrazze e foreste di erbe aromatiche. Il tuo è un tributo alla vita all’aria aperta, che arriva dopo un periodo di reclusione. Come è nata l’idea di questo secondo episodio?
L’editore, visto il successo del primo libro, me ne chiedeva un secondo. Per due anni ho cercato una soluzione, perché non volevo rifare esattamente la stessa cosa. Avevo pensato a varie opzioni, ma è stato alla fine del lockdown in Italia che, parlando con un’amica di questo libro, ho capito come potevo strutturarlo. Un percorso di un anno nelle varie case della città, per poi far riunire tutti insieme in un parco con l’arrivo della primavera. Proprio come stavamo facendo noi in quel momento.
In cucina hai un ricettario del cuore che tendi a consultare più di altri?
Ne ho tanti, non li seguo molto perché tendo a guardarli e poi fare di testa mia. Ma ce n’é uno che amo, Jerusalem di Yotam Ottolenghi e Sami Tamimi, un incontro di cucina Palestinese ed Ebraica. La cucina di questa parte del mondo forse è quella che amo di più, insieme a quella del sud est asiatico.
A proposito di cibo e personaggi, come ti sei approcciata alla figura e anche alla storia di Pablo Neruda? Ode a una cipolla non è l’unico racconto biografico di cui ti sei occupata, penso ad esempio a Joan Procter, la dottoressa dei draghi, ispirato alla celebrità della comunità scientifica britannica Joan Beauchamp Procter. Trovi sia più difficile illustrare un personaggio reale?
È stato bello illustrare Neruda, già amavo molto le sue odi elementari. La storia poi parla di cibo, di giardini, dei temi ricorrenti nel mio percorso. Per ogni storia biografica c’è stato un tempo di ricerca. Comincio sempre familiarizzandomi con il personaggio, studiandolo e disegnandolo in modo realistico, per poi trovare una stilizzazione adatta al libro. È un po’ più difficile dell’inventarsi un personaggio vero, perché hai paura di sbagliare.
I tuoi libri vengono pubblicati in tante lingue e collabori con autori italiani ed esteri. Quanto faticosa può essere l’ascesa di un illustratore oggi?
È faticosa per due motivi, primo perché il mercato è diventato immenso e la concorrenza enorme. Sembra che tutti i giovani che si approcciano al mondo dell’arte vogliano fare questo lavoro: illustrazione o fumetto. Ma il motivo più grande è il confronto costante e scoraggiante dei social. Non riesco a pensare come sarebbe stato per me, quando ero agli inizi, se avessi avuto questo confronto quotidiano con Instagram, una valanga di immagini e di illustratori da seguire.
Bisogna cercare un tempo e uno spazio di silenzio per poter creare, per trovare la propria voce. Però, grazie a internet si può lavorare molto facilmente con clienti internazionali di tutti i tipi, creare contatti, nuove amicizie, ci sono tante possibilità.
In che stato di salute è, secondo te, il settore dell’editoria italiana (per bambini e ragazzi, ma anche più in generale)?
Da quello che sento, il settore dell’editoria dell’infanzia è in gran forma. Ieri leggevo che uno su quattro libri venduti è un libro per bambini o ragazzi. Gli adulti leggono meno, e forse si sentono in colpa, e per questo comprano più libri ai loro figli.
Negli altri paesi la situazione è diversa?
In America è uguale, l’editoria per l’infanzia va forte, anzi fortissima, quella per adulti meno. Ma non so le statistiche.
Nel tuo sito internet molto è dedicato all’illustrazione del cibo. Racconti di aver lavorato per il Corriere della Sera quando ancora non esisteva Cook e di aver collaborato anche con un’azienda britannica di biglietti d’auguri. C’è poi tutto il filone delle “ricette illustrate”. Oggi quello di illustrare le ricette si può definire un trend, ma quando hai cominciato tu qual era la situazione e quali porte poteva aprire illustrare il cibo?
Quando ho cominciato a fare ricette illustrate sul mio blog, ancora non esisteva questo trend. Posso considerarmi tra i pionieri forse. Almeno per quanto riguarda l’impostazione degli ingredienti singoli su sfondo bianco. Adesso ne vedo tante in giro.
Credo ci sia qualcosa di piacevole nel vedere cibo illustrato, si adatta molto a un senso di design che da equilibrio: il minimalismo degli ingredienti sulla pagina, puliti, e il caos che invece è il cucinare, lo sporcarsi, il mangiare. Per me è cominciato quando non avevo più speranze di lavorare con gli editori per l’infanzia. Avevo bisogno di esprimermi e fare una cosa solo per me, e quindi ho cominciato questa serie sul mio blog. Immediatamente ho avuto un riscontro, perché la cucina va sempre e va forte.
Oggi, invece, che tipo di intreccio esiste – secondo la tua esperienza – fra cibo, editoria e illustrazione: è un filone che vale la pena cavalcare più di altri?
Non so se vale la pena, dipende da quello che ti interessa. A me interessava il cibo in tutte le sue forme, sia vero che disegnato. Non ho pensato che avrei trovato lavoro in questo, volevo solo farlo perché era divertente. Secondo me un illustratore deve trovare la chiave per fare quello che più gli piace. Perché quando trovi piacere nel fare una cosa, quella cosa viene bene.
A quali progetti stai lavorando in questo momento?
Sto facendo un libro scritto da me, il quarto. E poi collaboro con Gianluca Maruotti, mio marito, per un video musicale per un grande artista, di cui parlerò più avanti.
Che bello, non vediamo l'ora di vedere i tuoi progetti realizzati! Grazie infinite Felicita Sala.